LA CONQUISTA DELL'AMERICA

Il libro di Todorov richiede un minimo di conoscenze storiche. Riporto qui un articolo di sintesi che ho scritto alcuni anni fa per chiarirmi le idee. Esso, nelle mie intenzioni, doveva rappresentare il primo capitolo di un Libro nero sul capitalismo. Per fortuna, quest'impresa è stata realizzata da qualcun altro.

La scoperta dell’America rappresenta uno spartiacque della storia. Da essa infatti si fa cominciare la storia moderna. Ma, come accade per tutti gli eventi storici che assumono un’assonanza mitica, si rischia di privilegiare il significato che essi hanno assunto a posteriori rispetto a quello reale. Nel 1992 l’orgia delle celebrazioni del cinquecentenario, sapientemente orchestrato dagli Stati Uniti, ha del tutto rimosso la triste sorte delle vittime dell’evento, gli Indiani dell’America meridionale. In un clima contrassegnato dalla presunta morte del comunismo, non maggiore attenzione è stata dedicata al significato economico della conquista che ha posto le basi monetarie dello sviluppo capitalistico. La storia del resto, si sa, la scrivono i vincitori. Ma, per fortuna, essa può essere sempre riletta.

Il termine ‘scoperta’ ha un chiaro rilievo eurocentrico. L’America è stata scoperta in senso proprio venticinquemila anni prima di Cristo allorché popolazioni di origine caucasico-mongola, profittando dell’abbassamento del mare all’altezza dello stretto di Bering, vi giunsero. Da allora in poi le migrazioni, ad intervalli di tempo molto lunghi, si susseguirono prima per via di terra poi per via di mare, lungo l’arcipelago delle Aleutine. Le popolazioni, eterogenee in conseguenza delle diverse ondate migratorie, si diffusero lentamente nel continente occupandolo infine tutto. La vastità del territorio e il difetto di vie di comunicazione dette luogo all’isolamento dei gruppi e ad una frantumazione linguistica e culturale. Molti gruppi rimasero allo stato dei raccoglitori, cacciatori e pescatori. Solo nell’America meridionale ebbe sviluppo l’agricoltura e, com'è sempre avvenuto, sulla sua base si definirono alcune civiltà evolute dotate di città e templi. Due di queste, infine, assunsero la configurazione di imperi: quello degli Atzechi in Messico e quello degli Inca in Perù.

Il termine scoperta è manifestamente inteso a privilegiare il movente dell’esplorazione, dell’avventura, della ricerca geografica, e a porre tra parentesi le ragioni reali che promossero le esplorazioni. L’Europa del ‘400 è caratterizzata da una cronica mancanza di risorse finanziarie, dovuta in parte all’arretratezza economica e in parte alle onnivore esigenze degli Stati centralizzati monarchici perennemente in guerra tra di loro. Sotto il profilo economico il primato dell’agricoltura è ancora netto, ma la sua produttività, legata all’essere le terre in grande misura di proprietà nobiliare o ecclesiale, è ancora scarsa. Il commercio, ovunque fiorente, trova un limite insormontabile nella scarsità dei prodotti dovuta all’arretratezza tecnologica, al costo delle materie prime e alla esiguità della moneta. La politica di potenza degli Stati monarchici - soprattutto Spagna, Francia e Portogallo - comporta un regime fiscale che, dati i privilegi nobiliari ed ecclesiali, grava quasi per intero sulla popolazione minuta. Nonostante la sua severità, tale regime non assicura il decollo dello sviluppo perchè 3/4 o addirittura 4/5 degli introiti sono spesi per le armi e per gli eserciti.

Il problema di assicurarsi a buon mercato risorse - materie prime e oro - si pone già nei primi decenni del ‘400 e giustifica l’estensione del mercato verso l’Africa e verso l’Asia. E’ in questa direzione che si muove ripetutamente il Portogallo. L’Africa però, dato il livello primitivo della sua economia, non può offrire che alcune derrate, oro (in quantità modeste) e schiavi. L’Asia, molto più ricca ed evoluta, esercita sull’Europa un fascino profondo dall’epoca dei viaggi di Marco Polo. Gli scambi sono però penalizzati dalla distanza: per via di terra, oltre al pericolo delle razzie, c’è l’ostacolo dei paesi islamici, e anzitutto dell’Egitto, tappa obbligata; per mare si richiede la circumnavigazione dell’Africa.

La necessità di trovare una via marittima più diretta e più sicura verso le Indie Orientali è il motore delle esplorazioni che si dirigono verso l’Atlantico. Solo per caso, in virtù della scoperta dell’America, queste esplorazioni incideranno profondamente sullo sviluppo della civiltà europea e sulla storia del mondo.

Che le esplorazioni siano promosse, almeno nelle intenzioni di chi le finanziava, da motivazioni essenzialmente economiche, non significa che esse siano le uniche. In alcuni esploratori il gusto dell’avventura, il fascino dell’eroismo, il desiderio di immortalarsi hanno sicuramente svolto un ruolo. Ma ciò concerne singoli e rari individui. La massa di spagnoli e di portoghesi che si è precipitata nelle terre d’oltremare era assetata solo d’oro e di potere. Anche l’intento di diffondere il messaggio cristiano e di convertire i popoli rimasti esclusi dalla salvezza può avere avuto un ruolo. Considerando però l’atteggiamento assunto dalla Chiesa per molto tempo, tale intento può essere attribuito con certezza solo ad alcuni eroici missionari, non per caso impegnati a denunciare le atrocità che si commettevano a danno degli Indiani.

Quali che fossero le motivazioni di Colombo, un indizio vale a ristabilire il significato storico dell’impresa (ponendo tra parentesi le sue conseguenze). Nella stiva dei battelli all’epoca della seconda spedizione c’era una ben povera mercanzia destinata ad essere scambiata con i ‘selvaggi’. La povertà della merce attesta che, mentre in Europa si andava affermando la legge della domanda e dell’offerta, la proiezione dell’Europa fuori dei suoi confini dava per scontato che gli scambi, per ricavarne un profitto, dovessero essere impari, in pratica una truffa. Questa legge di fatto ha governato la colonizzazione spagnola e portoghese se è vero, come è stato accertato, che i valori scambiati (per non parlare delle rapine e dei saccheggi) corrispondevano alla proporzione di 4 a 1 a favore dell’Europa. I cantori della colonizzazione, che è cominciata appunto all’epoca, i quali sottolineano i vantaggi dei popoli colonizzati che hanno avuto accesso alla civiltà europea dimenticano che tali vantaggi sono stati pagati con una spoliazione senza pari.

I fatti sono un triste elenco di nequizie. La testimonianza di Colombo è essenziale. Il primo incontro con i selvaggi (i Taino) riuscì sorprendente per due aspetti: per un verso, per il primitivismo della loro cultura; per un altro, per la disponibilità, la gentilezza e l’umanità dimostrata nei confronti di sconosciuti. Si può pensare che si sia trattato di un caso. Nelle isole caraibiche, sulle coste dell’America meridionale e nell’entroterra c’erano anche popolazioni bellicose, cannobaliche. Ma i Taino pagarono un duro prezzo per la loro cortesia. All’epoca della seconda spedizione Colombo portò con sé 1200 Spagnoli che dovrebbero essere deputati a fondare una colonia. Ma costoro, in sua assenza, si abbandonarono alla violenza, allo sfruttamento, alla rapina. Al suo ritorno, Colombo trovò l’isola quasi deserta di indigeni: i più erano morti, gli altri fuggiti imboscandosi. Senza manodopera, si rischiò la carestia. Per scongiurarla si decide di razziare schiavi nelle altre isole e sulla costa. Si avviò così una colonizzazione violenta, che riconoscerà i suoi momenti peggiori nella conquista del Messico da parte di Cortes e dell’impero Inca da parte di Pisarro. La moria degli indigeni pose ovunque il problema della carenza della manodopera, per sopperire alla quale si avviò la tratta dei negri.

Sulla colonizzazione dell’America meridionale gli storici non hanno pareri univoci. Alcuni minimizzano la violenza, attribuiscono la moria degli indigeni alle scarse resistenze immunitarie nei confronti dei germi portati dagli Europei, e sostengono che, dopo un periodo di iniziale sbandamento, l’intervento prima degli editti regi e poi delle bolle papali sarebbe valso a indurre un trattamento sostanzialmente umano degli indigeni. Altri drammatizzano la violenza e parlano di un vero genocidio perpetrato direttamente e attraverso lo sfruttamento lavorativo nelle miniere. I dati attualmente disponibili depongono più a favore della seconda interpretazione.

Il fondamento giuridico originario che giustificò l’occupazione di terre abitate e la riduzione della popolazione in schiavitù era la convinzione che i cristiani, in virtù della loro superiore cultura e della fede, avessero semplicemente più diritti di possedere qualcosa rispetto agli infedeli. Agli indigeni non era riconosciuta alcuna personalità giuridica: li si riteneva esseri subumani. Il papato, che già in precedenza, aveva riconosciuto per i Portoghesi in Africa il diritto di conquistare le terre, di ridurre in schiavitù gli abitanti e di sequestrare i loro beni, confermò tale diritto anche alla Spagna. Naturalmente tale diritto non poteva prescindere dal dovere di evangelizzare gli infedeli. Di evangelizzarli con la forza. Si giunse ad affermare che assoggettare gli Indiani con l’uso delle armi era indispensabile per predicare il vangelo con successo. Coloro che si ribellavano alla conversione potevano essere uccisi. Solo nel 1537, in seguito alle accese proteste di alcuni missionari, una bolla papale sancì che gli Indiani erano veri uomini, liberi di disporre della loro persona e dei loro beni. I cattolicissimi re di Spagna non poterono che prendere atto di questo principio promulgando anche essi degli editti miranti a promuovere un trattamento più umano degli Indigeni.

Il vantaggio di questi provvedimenti fu relativo se si tiene conto della demografia. Le cifre a riguardo sono controverse. Prima del 1492 l’America contava da 75 a 100 milioni di abitanti. Nei primi anni della conquista europea il calo demografico fu particolarmente rapido. Dopo la conquista dell’impero Atzeco e di quello Inca la popolazione si era ridotta a poco più di un decimo. La conquista dell’America sarebbe dunque costata da 70 a 90 milioni di morti! I morti in guerra furono numerosi: solo a Città del Messico furono sterminati 200000 Atzechi. Numerosissime furono le morti indotte dalla violenza e dal maltrattamento dei conquistadores e dei coloni. Il maggior numero delle vittime furono però dovuti alle deportazioni e al lavoro nei campi e nelle miniere. Essendo anche le donne impiegate in tali lavori è facile spiegare sia un’elevatissima mortalità infantile sia il regresso delle nascite. Occorre comunque ammettere che una moria così spaventosa non può essere attribuita totalmente alla violenza. Almeno in parte essa va dunque ricondotta alle infezioni portate dai Bianchi.

Rimane il fatto che la conquista dell’America meridionale desertificò in pochi anni un continente molto popolato e devastò almeno due civiltà, quella atzeca e quella inca, che nessuno oggi potrebbe considerare primitive.

Il genocidio, quali che siano state le sue cause, è avvenuto in nome dell’auri sacra fames dell’Europa. Il maggiore vantaggio che l’Europa, e in primis la Spagna, trassero dalla conquista dell’America è legato allo sfruttamento massiccio delle miniere di oro e di argento. Al prezzo di sangue umano, l’America meridionale venne svuotata delle sue risorse minerarie. Le cifre sull’afflusso di oro e di argento in Europa non sono facili da stabilire. Ma le conseguenze di tale afflusso sono note e permettono indirettamente di stabilire l’entità del fenomeno. La monetizzazione dell’oro e dell’argento determinò infatti in Europa, a partire dalla metà del ‘400, quella che comunemente si chiama la rivoluzione dei prezzi: in pratica un aumento costante e rilevante dei prezzi e, di conseguenza, un’elevata inflazione. Tale aumento, mentre impoveriva le masse popolari, dette ali al commercio e permise ai mercanti di accumulare enormi patrimoni che, in virtù del sistema bancario, finirono con l’assumere un valore politico in quanto le monarchie si trovarono a dipendere per la loro sussistenza dal credito. Il peso politico assunto dai mercanti in virtù della loro disponibilità di denaro è importante anche per un altro aspetto. Esso infatti, in un mondo ancora dominato dalla nobiltà di sangue e dal potere della Chiesa, prepara l’avvento della classe borghese.

E’ in questo periodo che si avvia dunque l’accumulazione del denaro, alimentata dal successivo colonialismo, che pone le basi dello sviluppo capitalistico destinato ad avviarsi non appena i progressi tecnologici consentiranno al denaro di trasformarsi in capitale. L’accumulazione originaria, come ha scritto Marx, si fonda sul genocidio e sulla rapina.